Nei due anni in cui sono
stato a Reggio Calabria ho visitato i luoghi più belli di quella provincia
semplicemente andando a fare sopralluoghi per attentati od omicidi. Benché
si fosse in periodo di “pax mafiosa”, in quei due anni la mia auto di
servizio ha fatto più di 70000 km su e giù per la Locride, la Jonica e la
piana di Gioia Tauro soltanto per portarmi a vedere più di un centinaio di
morti ammazzati e non so quanti feriti. Come quel 2 Novembre del 2004,
quando nelle colline di Bruzzano Zeffirio sono stati ammazzati padre e
figlio: 37 anni il primo, 13 il secondo. Ma questa non vuole essere la
storia di quell’omicidio, è solo il racconto di quel viaggio, e delle
storie che i luoghi di quel viaggio raccontano.
Tutto è iniziato come al
solito. La mia Centrale mi chiama per dirmi dell’omicidio. Era qualcosa che
mi aspettavo: di solito quando la ‘ndrangheta vuole punire qualcuno, lo fa
sotto le feste. Così l’anno dopo i familiari se le ricordano meglio. Do le
solite indicazioni: isolare la zona fino al mio arrivo; verificare se
qualcuno ha visto qualcosa; tentare di identificare i morti senza inquinare
prove e luoghi; mandare su la “omicidi”. La sezione rilievi (la nostra
scientifica) la chiamavo di solito io mettendomi in contatto con il suo
comandante, da me soprannominato “Gatto nero”. Lo chiamavo così perché in qualche modo dovevo
giustificare i quasi 50 omicidi dal giorno del mio arrivo, avvenuto quasi un
anno prima. Poi chiamavo il mio autista di turno e gli dicevo di preparare
la macchina. Quel giorno partivamo per un lungo viaggio, da cui non
sapevamo quando - e se – tornavamo. Lungo, perché da Reggio a Bruzzano sono
quasi 80 Km; quando, perché non sapendo cosa avrei trovato sul posto non
potevo prevedere il tempo che ci sarei rimasto; se, perché per andare a
Bruzzano Zeffirio dovevamo per forza percorrere la S.S. 106, meglio
conosciuta come Statale della morte per le sue pessime condizioni.
La strada è lunga, ma
l’autista la conosce e guida sicuro. Attraversiamo luoghi a cui si può
sempre collegare una storia. Appena fuori Reggio transitiamo per Bocale. Il
posto ai più non dice niente, ma a Bocale il 26 Agosto 1989 la ‘ndrangheta
ammazzava Lodovico Ligato, ex deputato DC ed ex Presidente delle Ferrovie
dello Stato coinvolto nello scandalo delle lenzuola d’oro. A Reggio era
allora in corso la seconda guerra di mafia, guerra in cui le ‘ndrine si
scannavano tra di loro ma non tralasciavano di interessarsi alla spartizione
dei numerosi e lucrosi affari che avrebbero portato centinaia di milioni
nelle loro tasche. Quell’omicidio fu comunque un omicidio eccellente perché
apriva uno squarcio sui rapporti tra ‘ndrangheta e politica per la
spartizione del territorio. La seconda guerra di ‘ndrangheta sarebbe
terminata dopo oltre 700 morti con la pax mafiosa del 1991, pax ottenuta con
la mediazione di “Cosa nostra” tra le cosche del reggino. “Cosa nostra”
sarebbe stata ripagata con l’omicidio a Campo Calabro del giudice Scopelliti,
che doveva sostenere l’accusa in Cassazione relativamente al maxiprocesso
istruito a Palermo da Caponnetto, Falcone e Borsellino. Ogni anno in cui
sono stato a Reggio Calabria ho sempre partecipato alla cerimonia di
commemorazione del giudice, fatta sul luogo del delitto. Ed ogni anno mi
sono sempre vergognato: io polentone, proiettato in quella terra, mi
vergognavo per tutti quei calabresi che non partecipavano a quella
manifestazione. Già, a parte le autorità istituzionali e i parenti del
giudice, dire che c’erano quattro gatti era grasso che colava. Ma questa è
un’altra storia, di un’altra parte della provincia di Reggio.
Continuando il viaggio,
dopo Bocale si arriva sotto Capo d’Armi, a Lazzàro, la frazione a mare di
Motta San Giovanni. La località è nota in quanto in una cascina del luogo
Garibaldi avrebbe stabilito il posto di comando dei suoi mille dopo lo
sbarco a Melito Porto Salvo. Sulla facciata della casa c’è ancora incastrata
una granata sparata dalla flotta napoletana.
Proseguendo si arriva a
quella che io chiamo la zona della cattedrali nel deserto: Saline Joniche.
Saline Joniche è sovrastata da un fantasma: la Liquichimica. Questa
struttura, assieme al quinto polo siderurgico di Gioia Tauro e al raddoppio
della tratta ferroviaria Reggio Calabria – Villa San Giovanni, non è altro
che lo scotto pagato a “Reggio capitale”, ossia alla rivolta di Reggio
Calabria del 1970, quando capitale della Regione fu decretata Catanzaro. E’
il famoso pacchetto “Colombo”, il contentino che il Governo di allora ha
dovuto pagare per al retrocessione di Reggio Calabria a semplice provincia.
Un pacchetto fallito prima di iniziare: il governo già sapeva che il IV polo
siderurgico era in crisi, perché costruirne un quinto? Comunque le cosche
reggine ringraziarono. Ringraziarono perché in quel modo arrivava a Reggio
un fiume di soldi per gli appalti per la costruzione di quelle strutture. Se
a questi soldi aggiungiamo quelli per edificare la diga sul Menta e quelli
per la Salerno - Reggio Calabria, è possibile capire allora perché le
‘ndrine si sono buttate sulla gestione del movimento terra e delle forniture
dei materiali per l’edilizia e la pavimentazione stradale. Avevano solo
bisogno di soldi, ma questi li hanno fatti con i sequestri di persona.
Comunque, il risultato del pacchetto “Colombo” a Saline Joniche è questo
impianto mai partito ed imbottito di amianto, ed un territorio devastato da
questo monumento all’inutilità.
Continuo a riempire il
tempo di viaggio collegando i posti alla memoria. Alla mia destra scorre il
mar Ionio. Le acque sembrano tranquille, ma così non deve essere se proprio
quel pezzo di mare che va da Annà di Melito Porto Salvo a Capo Spartivento è
famoso per le carrette che giacciono nei suoi fondali. Due nomi: la Laura C
e la Rigel. La Laura C , o meglio la nave Laura Coselich, salpata da Venezia
con rifornimenti per le truppe italiane che combattevano in Africa, il 3
luglio 1941 venne silurata nelle acque antistanti Annà. E lì è rimasta per
oltre 50 anni, quando qualcuno si è accorto che tra il materiale che
trasportava vi era qualche tonnellata di Tritolo. Solo allora, con
l’intervento delle marina Militare, la stiva della nave è stata rinchiusa in
una bara di cemento, peccato che nel frattempo quel tritolo sia finito in
mano alla ‘ndrina Jamonte (i cui capibastone, i fratelli Giuseppe e
Vincenzo, latitanti inseriti nell’elenco dei 30, sono stati arrestati da noi
nel 2005) che ogni tanto lo fa trovare magari sotto i ponti o nei cessi del
Comune di Reggio Calabria. Pare inoltre che lo stesso tipo di tritolo possa
essere stato usato per le stragi di Capaci e Via D’Amelio.
L’altra motonave, invece, è
la Rigel. Per chi non è del mestiere non è molto nota, ma basta accomunarla
al nome Jolly Rosso per capire di cosa si tratta. La Rigel è una nave
fantasma, data dal suo comandante per affondata a 20 miglia a Sud – Est di
Capo Spartivento, coordinate 37° 58’ Lat. Nord, 16° 49’ Long. Est. Peccato
che le due indicazioni non coincidano. Tutti sanno che è una delle navi dei
“veleni”. Dovrei parlare del faccendiere Comerio di Garlasco (che non sia un
paese maledetto?), che sarebbe stato l’ideatore dell’affondamento; dovrei
parlare di un naufragio anomalo, senza alcun S.O.S. lanciato, con
l’equipaggio raccolto da una nave Jugoslava – la Karpan – e fatto sbarcare
nel porto di Tunisi; dovrei parlare del Cap. di Corvetta De Grazia, che ha
scoperto per lo meno la truffa a danno dei LLoyds e che è morto mentre
effettuava indagini sul traffico di rifiuti tossici; dovrei parlare di
Ilaria Alpi, dato che sembra che durante una perquisizione a casa del
Comerio sia stato rinvenuto il suo certificato di morte; dovrei parlare
della ditta “Impresub” e del suo tentativo di ritrovare il relitto. Ma di
questo si sono già occupati in tanti, tra cui molti giornalisti. Io vengo al
succo: nessuno è stato condannato per i rifiuti tossici trasportati sulla
Rigel per il semplice fatto che la Rigel non è mai stata trovata. E mi
chiedo se veramente l’hanno mai cercata.
E mentre andiamo da Annà a
capo Spartivento passiamo per Bova marina. Bellissima spiaggia e ridente
cittadina, che io ho apprezzato soprattutto perché in un giorno del Febbraio
2004 qualcuno ha pensato bene di sparare un colpo a palla unica (da
cinghiale) contro una vetrata al di là della quale c’era lo studio/
soggiorno dell’Assessore Regionale all’Istruzione, Saverio Zavettieri. Il
problema maggiore è stato che nel momento in cui è partito il colpo dentro
alla studio c’era lo Zavettieri con altri suoi compaesani: lui ed il suo
collaboratore più diretto sono stati lievemente feriti. Su questo cosa
posso dire: abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare, purtroppo non
eravamo attrezzati per far parlare i muri. Sarà un caso, ma l’attentato è
avvenuto esattamente una settimana dopo la cattura da parte nostra di
Giuseppe Morabito detto il “Tiradritto”, capobastone della omonima cosca in
Africo e ritenuto in provincia di Reggio il “Capo dei capi”. Si dice che
durante la latitanza Totò Riina sia stato suo “ospite”. E non è un caso che
Provenzano sia andato ad operarsi in Francia, a Marsiglia, città
notoriamente in mano alla ‘ndrangheta.
Intanto arriviamo al bivio
per Bruzzano Zeffirio. Bruzzano Zeffirio è noto fin dai tempi dell’antica
Grecia, e deve il suo nome al promontorio Bruzio (Bruzzano) e allo "Zefiro",
vento che soffia gentile su quelle terre. Ma per me Bruzzano è famoso per
altro. Da quelle parti operava la banda che ha sequestrato Cesare Casella.
Nella stessa zona l'Anonima sequestri calabresi custodiva altre tre persone:
Cortellezzi, Medici e De Pascale. Solo il De Pascale è tornato vivo.
Bruzzano fa parte del cosiddetto Hotel Aspromonte, Hotel che negli anni ha
avuto oltre 140 ospiti, non tutti tornati. In quell’albergo c’era sempre
posto per tutti, anche per chi non ci voleva stare. Come l’Ing. De Feo,
industriale campano sequestrato agli inizi del 1983 e liberato un anno dopo.
Peccato che nel frattempo fosse riuscito a liberarsi e a scappare, ma
arrivato nei pressi di una cascina venisse bloccato da donne e bambini e
riconsegnato ai suoi rapitori.
Inerpicandomi poi per la
strada che sale verso Bruzzano arrivo sul luogo del delitto, una specie di
masseria a mezza costa a cui si giunge attraverso una stradina di campagna.
Il primo cadavere lo vedo a pochi metri dalla strada asfaltata. Il secondo
presumo sia all’interno del fuoristrada fermo in cima al viottolo. Ma questa
è un’altra storia. Di quelle che speravo di non dover mai raccontare.